IL GIORNO – Sud Milano – 17 luglio 2017
RiMAFLOW A RISCHIO, OPERAI IN RIVOLTA “NON SUBIREMO UNA SECONDA CHIUSURA”
Allarma l’avviso di garanzia all’ad della coop. per sospetto abuso edilizio
Di Francesca Santolini
- Trezzano sul Naviglio —
Rischia di saltare il progetto Ri-Maflow, la cooperativa di lavoro nata dalle ceneri della Maflow una delle aziende leader nella produzione di componenti per automobili. I controlli effettuati gli ultimi giorni di giugno dall’ufficio tecnico e della polizia locale nel capannone di via Boccaccio , sfociati in contestazioni edilizie e in un avviso di garanzia all’amministratore delegato della cooperativa per gli abusi commessi, potrebbero mandare a monte il protocollo fermo in prefettura per la stabilizzazione e regolarizzazione della struttura di via Boccaccio . Una trattativa iniziata nel 2015 e che vede sedere al tavolo di confronto, oltre ai soci lavoratori Ri-Maflow, le altre cooperative e associazioni che nel capannone hanno trovato una nuova casa (Libera e la cooperativa Ies di Caritas), il Prefetto, il comune di Trezzano e Unicredit Leasing, proprietario del capannone dopo la bancarotta fraudolenta di Maflow.
“Sono due anni che la firma del protocollo viene continuamente procrastinata – spiega l’Ad Massimo Lettieri – tutti sanno che al centro della trattativa c’è la regolarizzazione della struttura e delle modifiche che abbiamo effettuato per far tornare questo edificio un cuore pulsante dell’economia trezzanese dopo la delocalizzazione di Maflow e la conseguente perdita di lavoro per circa 330 dipendenti. Ci siamo sempre dimostrati disponibili alle richieste alle richieste delle altre parti, ma senza la firma d’intesa per noi è materialmente impossibile essere a norma”, Quel che potevamo fare per garantire la stabilità del progetto, i soci di RiMaflow, lo hanno fatto: dal punto di vista dell’occupazione sono tornati a dare un lavoro e la giusta dignità a 15 soci lavoratori più un’ottantina di altre persone tra tecnici e artigiani che hanno trovato la giusta dimensione nelle 35 aree in cui è stata divisa la struttura. Certo, non si tratta più della vecchia fabbrica che è stata il fiore all’occhiello della realtà trezzanese; gli anni sono passati e la condizione economica trezzanese è cambiata. Ma in questo capannone nella zona industriale trezzanese si torna a produrre , lavorare, creare servizi, reddito e dignità a chi presta la propria opera. Dopo anni di investimenti e la creazione di relazioni con altre cooperative, aziende o ad esempio il gruppo di Don Gino Rigoldi si è arrivati a sfiorare la firma di un serio piano industriale.
Piano che verrà approvato una volta regolarizzata la firma e la posizione dei lavoratori all’interno dei capannoni, quella che i lavoratori considerano il loro giusto indennizzo dopo essere stati licenziati “dal padrone che ha scelto di localizzare altrove la fabbrica per avere più profitto”
“Non accetteremo di essere messi sul banco degli imputati e di subire una seconda volta i traumi di una chiusura e di un licenziamento – spiegano i lavoratori – non siamo delinquenti, non siamo inquinatori e non mettiamo in pericolo la sicurezza di nessuno. Siamo in torto perché vogliamo lavorare? Arrestateci” Intanto i lavoratori chiedono un incontro con i vertici del Comune.
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