Come si vive in Rimaflow

rimaflowadmin 18 Settembre 2018 Commenti disabilitati su Come si vive in Rimaflow

Da FuoriMercato 18 settembre 2018

Come si vive in RiMaflow da quel maledettissimo 26 luglio ? Come si fa a sopportare il ricordo di una mattina in cui arrivano i carabinieri per mettere fine ad un progetto fondato su valori assoluti, quali l’onestà, la giustizia sociale, il rispetto dell’ambiente e soprattutto il rispetto del lavoro ? Come si fa ogni giorno ad affrontare la consapevolezza del fatto che un tuo compagno è detenuto ingiustamente in carcere quando tutto intorno a te, in Italia, ha un sapore di malaffare? Come si fa?
Ce lo racconta Luca Federici, coordinatore dei progetti della cooperativa Ri-maflow.
Buona lettura.

Come si vive in Rimaflow

La fabbrica recuperata e autogestita ospiterà dal 28 al 30 settembre l’assemblea nazionale di Fuorimercato. Ma qual è il clima che si vive in fabbrica? Come si tiene viva questa esperienza?

Di Luca Federici coordinatore Cooperativa RiMaflow

Lo scorso 26 luglio, all’alba, un nucleo dei carabinieri di Trezzano sul naviglio si è presentato ai cancelli della fabbrica recuperata RiMaflow e ha proceduto alla perquisizione e poi al sequestro del capannone C, ponendovi i sigilli. Si tratta del capannone dove erano posizionati i macchinari per il recupero di carta e plastica/pvc dalla carta da parati mista, per poter rimettere nel circuito produttivo materia prima pulita.
Nello stesso giorno il presidente della Cooperativa RiMaflow, Massimo Lettieri, veniva arrestato mentre si trovava in vacanza con moglie e figli.

Di fronte a questo, vogliamo dire con chiarezza che la nostra priorità, assoluta e indiscutibile è quella che Massimo torni in libertà; vogliamo possa difendersi, difendere il lavoro della cooperativa RiMaflow e la dignità delle sue lavoratrici e dei suoi lavoratori da uomo libero e insieme a noi tutte e tutti. La campagna “RiMaflow vivrà!” è il nostro impegno quotidiano per perseguire quella priorità, per ottenere quegli obiettivi.

Quello che ci è capitato, l’arresto di Massimo, le infamanti accusa a lui e alla Cooperativa di formare una “associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti”, il durissimo colpo al morale di noi tutte/i e allo stesso lavoro quotidiano della Cooperativa rappresenta un’occasione per qualche riflessione su noi stesse/i e sui nostri progetti.

I primi giorni sono stati durissimi. Il pensiero di Massimo in isolamento carcerario, la necessità di mettere in piedi immediatamente un pool di avvocati che potesse difendere lui e la cooperativa, l’impatto dell’arrivo dei carabinieri e dell’apposizione dei sigilli sul capannone, dove si stava provando a far funzionare un lavoro pulito di recupero di materiali da non considerare più semplici “rifiuti”.
E allo stesso tempo la necessità di capire come proseguire il nostro lavoro, come non lasciarci andare ad un deriva depressiva – anche per l’infamità delle accuse che ci rivolgono.
Qui non si tratta di accuse legate alla conflittualità sociale – dalle quali difenderci attraverso una puntale rivendicazione politica dei nostri comportamenti e la contestazione dell’intero impianto accusatorio. Qui ci accusano di essere parte centrale di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico illegale di rifiuti.
Esattamente tutto quello contro cui abbiamo lottato in questi anni e contro cui ancora stiamo lottando: per un lavoro pulito e dignitoso, per un territorio ecologicamente conservato e libero dalle mafie.
Queste ragioni, questi obiettivi, la pratica dell’autogestione e della condivisione collettiva delle decisioni ci rende certi della nostra innocenza e di quella di Massimo.

Il clima tra noi è fin dal primo momento quello di chi sa che deve mettercela tutta e mantenere le ragioni e le pratiche di un’impresa collettiva, di un’autogestione fondata sulla consapevolezza delle difficoltà e anche delle potenzialità, sociali e politiche.
E allora un secondo impegno prioritario è di far funzionare gli strumenti collettivi che ci siamo dati in questi anni. Se la Cooperativa oggi non può operare pienamente, perché ha i conti bloccati e strumenti di lavoro sequestrati – rimangono altri strumenti operativi per continuare i nostri progetti – in particolare quelli produttivi.

Dopo un primo momento di sconforto, ci stiamo riorganizzando per rispondere alle accuse infamanti rivolte al progetto Rimaflow, a partire dal l’unica nostra forza, il lavoro.
Il percorso del recupero della fabbrica è partito sulla riappropriazione del nostro lavoro, come principale agente di trasformazione della società e di creazione di ricchezza. Questo ha comportato, nell’impossibilità di investire capitali, l’investimento del nostro tempo e del nostro lavoro per il mantenimento dell’area e la creazione di attività lavorative capaci di rispondere al bisogno di reddito di lavoratori/trici e i bisogni sociali ed ecologici del territorio. Il lavoro, il nostro lavoro, è la nostra unica ricchezza e forza.

In questa fase burrascosa è lo strumento che possiamo mettere in campo in maniera piena e consapevole per uscire da questa situazione. L’unica strada per dimostrare la bontà e la credibilità del progetto Rimaflow è lavorare con ancora più forza per sviluppare le attività non oggetto delle indagini e che oggi creano condizioni di lavoro per 120 persone. Continuare a manutenere i capannoni per preservarne lo stato ed evitare che i rivestimenti in amianto del tetto si deteriorino, che le falde acquifere e i terreni da bonificare diventino un problema per il territorio. Perché questo è Rimaflow: un bene comune per il lavoro, per riportare il lavoro e la centralità dei lavoratori all’interno da capannoni inquinati ed abbandonati dal padrone.

Sappiamo bene quanto sia complicato recuperare una fabbrica con l’obiettivo di ricreare condizioni di lavoro per 330 persone in una fase di crisi economica e sociale , senza il supporto delle istituzioni locali, senza capitali e soprattutto relegati in una condizione di illegalità dal non vedersi riconosciuto alcun titolo a stare all’interno dei locali, sulla base della difesa del concetto di proprietà privata degli immobili, indipendentemente dalla funzione sociale che questa non esercita più. E quindi proprietà privata anche costituzionalmente indifendibile. La stessa proprietà che non ha avuto alcuna remora ad abbandonare dei capannoni con importanti problematiche ambientali.
In 5 anni di recupero della fabbrica abbiamo affrontato spesso sfide, quella in cui siamo finiti oggi è la più dura ma non ci spaventa. Siamo pronti a rispondere alle accuse di associazione a delinquere, siamo pronti a rivendicare e rispondere politicamente alle accuse di attività lavorativa non autorizzata. Poiché l’unica modalità per recuperare la fabbrica nelle nostre condizioni è quella di partire con attività informali e contemporaneamente iniziare la trattativa per regolarizzarle. Tutte le attività presenti in Rimaflow hanno questo iter. Si parte con lavoro informale, si acquisiscono le competenze e i contatti per farle funzionare e appena si creano le condizioni politiche per il riconoscimento della nostra attività, la regolarizziamo. Perché il nostro obiettivo è sempre quello di un’attività lavorativa regolare e economicamente sostenibile nata dall’investimento del lavoro e non dei capitali.

E così in un clima difficile ma anche di generosa partecipazione, continuiamo a lavorare e a costruire l’esperienza quotidiana di un’impresa collettiva autogestita.
Questo è possibile anche perché fin dal primo momento abbiamo voluto costituire differenti strumenti di operatività, mantenendo il massimo di regolarità possibile nel quadro di un’occupazione illegale.
Così abbiamo costruito, oltre alla Cooperativa, anche l’Associazione Occupy Maflow, l’Associazione Fuorimercato – Cittadella dell’altra economia (gli artigiani), il Cral (per le attività di somministrazione e culturali), la prima Associazione Fuorimercato, per la salvaguardia dell’ecosistema e per la sovranità alimentare (insieme a SOS Rosarno), e da poco anche una Srl, totalmente controllata dalla Cooperativa, per alcune attività produttive altrimenti impossibili.
Se la pratica dell’autogestione è alla base di ognuno di questi strumenti – ed è una pratica per noi irrinunciabile, evidentemente – allo stesso tempo questa differenziazione ci permetterà di mantenere attive le attività e il lavoro di tutte le 120 persone oggi presenti dentro RiMaflow (tra le quali, ovviamente, c’è anche Massimo che vogliamo presto ancora tra noi).
Questa è una prima riflessione importante: anche nel quadro di un’occupazione illegale, diventa importante costruire strumenti operativi adeguati, che possano essere difesi e che possano dare continuità al lavoro e quindi sicurezza a lavoratrici e lavoratori. Non si tratta di essere “legalitari”, quanto di costruire alternative sostenibili e di non mandare allo sbaraglio donne e uomini che hanno già pagato una volta (o anche di più) la crisi economica e la marginalità.

La ripartenza di RiMaflow è possibile anche grazie ad un’altra grande risorsa: la fortissima solidarietà che abbiamo sentito intorno a noi in questi giorni.
Messaggi mail, telefonate, post sui social, impegni per iniziative per noi/con noi, le prime raccolte di fondi per permetterci di lavorare e contribuire alle spese legali.
Tutto questo ci dà forza e ci conferma in una delle nostre tenaci volontà: quella di costruire una rete/organizzazione di esperienze autogestite, alternative e solidali.
Fuorimercato – Autogestione in movimento, e tutte le sue realtà, si è immediatamente attivata su tutto il territorio nazionale e anche coinvolgendo realtà organizzate in tutto il mondo e questo ci rende ancora più coscienti della necessità di questo spazio organizzativo: se infatti da una parte siamo molto contente/i di ogni solidarietà che arriva, di ogni impegno che si affianca alla nostra campagna – questa stessa campagna è un’occasione per l’organizzazione di questa stessa solidarietà.
Rafforzare Fuorimercato, allargare la sua rete, organizzare in maniera più stabile gli scambi, le relazioni, i legami sociali-politici e economici è la nostra maggiore risorsa affinché Rimaflow continui a vivere e affinché qualsiasi altra realtà possa sperare di crescere nella consapevolezza di far parte di qualcosa di più grande, con prospettive legate al conflitto sociale e alla proposta di un’alternativa. Che vive nelle nostre iniziative di oggi.

 

Comments are closed.