Chi è Massimo Lettieri

Di Gigi Malabarba

Ho conosciuto Massimo poco più di dieci anni fa nel magentino. Era un operaio della Maflow di Trezzano sul Naviglio impegnato sindacalmente nella Cub e in molte attività politiche e sociali del territorio. Istintivamente reagendo contro ogni ingiustizia, cercando sempre una soluzione a una condizione di sofferenza incontrata, mettendo al primo posto la persona e all’ultimo il proprio tornaconto personale.

Proprio il suo altruismo mi ha sempre colpito, rimettendoci sempre di tasca propria pur di ottenere un risultato per i più deboli. Sia in Maflow che nelle altre fabbriche che seguiva, Massimo riusciva sempre a far prevalere l’interesse generale e godeva di un grande consenso: non lasciava mai nessuno senza risposta, era quasi un suo cruccio personale, sentiva su di sé la responsabilità della condizione della persona che aveva davanti. Ed era stimato anche da organizzazioni sindacali diverse dalla sua, come la Fiom, proprio per la sua dedizione e la sua correttezza.

Quando poi ci siamo frequentati quotidianamente a partire dalla vertenza del 2009 contro la chiusura della Maflow finita in bancarotta, ho potuto misurare di persona il suo impegno e la sua straordinaria sensibilità, che ne avevano fatto il ‘capo naturale della classe’, per dirla in termini classici. Definizione che so che Massimo prenderebbe malissimo, perché direbbe: “qui non ci sono capi, qui siamo tutte e tutti uguali, e tutte e tutti insieme dobbiamo reagire”. Una caratteristica che farà sempre valere, anche rispetto alle decisioni da prendere: è sempre l’assemblea a dover decidere anche contro il suo parere, mai usare la propria autorevolezza per imporre una soluzione. Cercando sempre di far assumere responsabilità alle persone, senza delegare a qualcuno il proprio destino. E anche scontrandosi con le strutture della propria organizzazione, se fosse stato necessario…

Quanto tempo dedicato a quella lotta, quanti soldi messi di tasca propria. E anche quando il sindacato gli offre l’opportunità di uno stipendio pieno per fare il funzionario durante il periodo di sospensione dal lavoro, alla fine cesserà questa attività che pure gli piace moltissimo, rifiutando questo “privilegio” per mettersi al servizio del progetto di autogestione di RiMaflow. Così come in precedenza aveva rifiutato nel 2010 l’offerta di restare al lavoro tra i pochi sopravvissuti alla falcidie operata dal nuovo imprenditore polacco, approfittando del proprio ruolo sindacale.

Fondare una cooperativa, imparare da sé a fare l’amministratore, il coordinatore, il progettatore economico… lui, da operaio saldatore, mettendosi a studiare in proprio, carpendo da ogni persona incontrata elementi utili per sviluppare un’attività. Col pensiero fisso della responsabilità della sopravvivenza di 20 soci operai e di un centinaio di altre persone senza lavoro, migranti compresi, gli ultimi tra gli ultimi a cui sempre tenere le porte aperte. Massimo non ci dormiva la notte pur di trovare una soluzione economica dentro una situazione difficile: nessuna disponibilità ad un accordo da parte della proprietà, latitante per un lungo periodo; promesse mai mantenute da parte delle istituzioni; ma bisogno di regolarizzare il lavoro sviluppandolo per pagare un salario alle persone.

Si parte dall’informalità, irregolare per definizione, legata a condizioni a volte disperate, per arrivare a regolarizzare: il lavoro maggiore di Massimo in questi sei anni. L’esempio è quello delle fabbriche recuperate argentine, dall’occupazione al riconoscimento del lavoro in autogestione, senza padrone. O dei cartoneros di Buenos Aires, organizzati dall’avvocato Juan Grabois, che dall’informalità del recupero dei cartoni diventano uno strumento importante dell’organizzazione della raccolta rifiuti formale della città, creando centinaia di posti di lavoro regolari. Juan, l’uomo dell’arcivescovo Bergoglio, Massimo lo conoscerà direttamente, quando RiMaflow sarà invitata per ben due volte in Vaticano proprio da quel Bergoglio diventato papa Francesco, in occasione degli incontri dei Movimenti popolari di tutto il mondo. Con una menzione particolare proprio per la resilienza contenuta nel progetto che Massimo più di altri era riuscito a realizzare nelle periferie abbandonate del primo mondo.

La Chiesa di Bergoglio, la vicinanza di Libera e della Caritas all’esperienza di RiMaflow, quella del parroco di Trezzano don Franco fin dal primo giorno, con le messe celebrate con monsignor Delpini già nel 2009 contro la chiusura di Maflow e la recente visita a RiMaflow del Delpini arcivescovo di Milano. Don Franco che celebra le nozze di Massimo ed Anna, festeggiate poi alla Libera Masseria di Cisliano, un bene confiscato alla criminalità organizzata che proprio Massimo e RiMaflow contribuiscono a realizzare assieme all’allora coordinatore regionale di Libera, Davide Salluzzo, e a don Massimo Mapelli della Caritas diocesana. RiMaflow e Masseria, due perni del progetto Fuorimercato, nati contro la criminalità organizzata, creando posti di lavoro puliti, e con un profondo senso ecologista: riuso e riciclo perché niente vada buttato in discarica.

Una vocazione fin dal primo giorno di RiMaflow, questa. L’economia dei padroni ha fallito, diceva Massimo, dobbiamo ricostruirne un’altra su valori diversi, legati alla solidarietà e al bene del pianeta. E’ per questo che quando si dà l’occasione di conoscere un paio d’anni fa una persona, un inventore di macchinari per triturare rifiuti e recuperare materie prime, sembra un’occasione da non perdere. Ospitarlo in RiMaflow ci può far conoscere da vicino quel mondo, partendo da chi non ha capitali da investire se non il proprio lavoro. Macchinari recuperati da macchinari dismessi per recuperare materie prime in un ciclo completo e pulito. Come tanti presenti in RiMaflow, questa persona viene da trascorsi difficili con le amministrazioni, non è attento ai pagamenti, ma ha una passione e una genialità che saranno riconosciuti da interlocutori di primo piano nel trattamento rifiuti, come Amsa e A2A. E sta sulle sue macchine anche 12-14 ore al giorno, modifica, riaggiusta…

Massimo sa che questa attività pur solo sperimentale per capire come si recuperano le materie prime è irregolare, così come peraltro tutte le altre che si tengono in un luogo abbandonato e occupato che da sei anni rivendica la regolarizzazione. Ma l’attività produttiva è la sola che crea posti di lavoro e Massimo ha l’urgenza di garantire a fine mese le entrate della cooperativa, perché le famiglie devono mangiare, al di là dei tempi infiniti della trattativa con Unicredit Leasing che rinvia di mese in mese la firma di un’intesa. Conclusione di una trattativa che RiMaflow rivendica da anni ipotizzando il passaggio da un comodato a una fase onerosa, garantita dallo sviluppo dell’attività, con business plan costruiti insieme ad alcune università. E il riciclo è lì come ipotesi realmente possibile. Caritas mette a disposizione competenze di una cooperativa del settore ben avviata da 20 anni che ci potrà aiutare: possiamo farcela!

Essere nell’irregolarità ma volerne uscire a tutti i costi. Tutto il possibile per la sicurezza di chi lavora, le misure antincendio, le assicurazioni, il controllo della falda acquifera e dei tetti in Eternit (la vittoria di un bando Inail per la rimozione dell’amianto a marzo di quest’anno!), la regolarità dei pagamenti e dei contributi ai soci della cooperativa, le fatturazioni dei servizi… tutto è lì a dimostrare i passi in avanti nella direzione della regolarizzazione voluti con estrema testardaggine proprio dal presidente Massimo Lettieri.

E tutto sempre alla luce del sole, anzi sotto i riflettori delle tv e dei giornali e di ricercatori venuti a ‘studiare’ il caso RiMaflow da diversi paesi… Con Massimo a perdere ore di sonno per far quadrare i magrissimi bilanci. Nelle assemblee i soci tutti approvano l’investimento nel settore riciclo. L’autogestione impone la condivisione e non il verticismo di un presidente o di un CdA. Il riciclo rappresenta il 3% del fatturato, una perdita rispetto al tempo dedicato e al nuovo allacciamento per i macchinari del costruttore (250 kw!), che alla fine non pagava mai e a cui bisognerà dare uno stop. Tuttavia le poche cose fatte danno l’idea che il lavoro sulla carta da parati con quelle dimensioni di macchinari può avere una sostenibilità. Amsa e A2A ci incoraggiano: una volta regolari vi faremo arrivare commesse! Il materiale da lavorare arriva da ditte del settore con un ddt – documento di trasporto – e un formulario ed esce con altro ddt e una fatturazione da parte della cooperativa. In un caso anche dopo la verifica di non tossicità del prodotto, perché richiesto dalla dogana. Tutto regolare? Certamente no, manca l’autorizzazione previa che richiede la titolarità del luogo di produzione, che non possiamo ancora avere. Così come per altri lavori in RiMaflow. Ma Massimo mette in atto tutti i passaggi di regolarità possibili nelle nostre condizioni. E si paga fior fiore di tasse!

Basterebbe fare poi una verifica sui conti correnti di tutti i soci di RiMaflow e su quelli di Massimo e dei suoi familiari in particolare, se proprio si volesse capire quali sono stati i ‘guadagni’ di questa intrapresa straordinaria. Li vogliamo allegare, così, giusto per fornire qualche dato sull’associazione a delinquere che lucra con illeciti di stampo mafioso contro l’ambiente, la salute e il fisco. Se di Massimo si volesse sintetizzare la figura, è proprio l’emblema vivente della lotta contro tutto ciò…

Gigi Malabarba

 

P.S. Giusto per dare un’idea della condizione economica di Massimo:

fino al 2009 – salario come operaio saldatore presso Maflow 1.600 euro

2010-2012/13  –  cassa integrazione guadagni 1.200 euro (con integrazione per lavoro sindacale a tempo pieno presso Cub, continuato poi part time per il primo periodo RiMaflow)

2013-2018  – presidente cooperativa RiMaflow: da rimborso spese iniziale di 300 euro mensili a 500 euro, fino agli attuali 800 euro con versamento di contributi, un salario uguale per tutti i soci (comprendendo l’indennità di funzione si arriva fino a un massimo che non supera i 1000 euro mensili!).

Massimo ha due figli, vive nella casa di famiglia dei genitori della moglie a Monza, barista part time presso l’Ospedale San Gerardo. Ferie, pochissime, sempre a Rofrano nel Cilento presso la casa dei genitori.

Lo stile di vita e le dichiarazioni del reddito familiare di questi anni sono inequivocabili…