Fabbriche senza padroni: la risposta operaia alla crisi

rimaflowadmin 30 Settembre 2014 0

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Da da Micromega /30 settembre 2014

intervista a Andrés Ruggeri di Marco Zerbino

Nell’Argentina del post-2001, mentre un intero paese oscillava pericolosamente sull’orlo del baratro a causa di anni di politiche economiche neoliberiste imposte dal menemismo, si sono moltiplicati esempi di fabbriche e imprese recuperate e autogestite dai lavoratori. Casi poi diventati emblematici come quelli della Zanon o della Chilavert rimandano in realtà a un fenomeno ben più ampio, che ha visto diversi stabilimenti e unità produttive portati al fallimento da manager senza scrupoli rinascere, sia pure fra mille difficoltà, salvando posti di lavoro e dimostrando, ad un tempo, che è possibile produrre anche senza padroni. Un processo, reso celebre anche da The Take, il bel documentario diretto nel 2004 da Naomi Klein e Avi Lewis, che nell’Europa della crisi e dell’austerità è fonte di ispirazione per lotte ed esperimenti analoghi moltiplicatisi negli ultimi anni in Francia, Grecia, Turchia e altri paesi. Fra questi, possiamo annoverare oggi anche l’Italia grazie agli esempi della RiMaflow di Milano e delle Officine Zero di Roma.

Al movimento delle imprese recuperate argentine ha di recente dedicato un volume Andrés Ruggeri, ricercatore presso la Facoltà di Filosofia e Lettere dell’Università di Buenos Aires. Uscito nei giorni scorsi anche nella traduzione italiana edita da Alegre (A. Ruggeri, Le fabbriche recuperate. Dalla Zanon alla RiMaflow, un’esperienza concreta contro la crisi, pp. 192, euro 15,00), il libro ripercorre la storia delle Ert (Empresas Recuperadas por sus Trabajadores) dal 2001 a oggi e affronta temi centrali quali quelli dell’autogestione e del cooperativismo, del rapporto fra autogestione e mercato capitalista e autogestione e movimento operaio, dell’economia delle imprese recuperate e della loro relazione con il sindacato e con la politica. È Ruggeri stesso a spiegarci le caratteristiche del movimento delle Ert, nonché le ragioni per le quali esso ha avuto una così grande visibilità in Argentina.

Che cos’è un’impresa recuperata dai lavoratori?

Un’impresa recuperata dai lavoratori è un’impresa a gestione collettiva dei lavoratori. Allo stesso tempo, però, con quest’espressione si è soliti riferirsi a un processo, più che a uno stato di cose, a un processo che è in molti casi tuttora in corso di svolgimento. Un’impresa autogestita dai lavoratori deriva infatti generalmente da un’impresa precedente che era un impresa capitalista della quale quei lavoratori erano dipendenti. Fra l’altro, il gruppo dei lavoratori non necessariamente rimane lo stesso nel corso di questa trasformazione. Molte imprese recuperate sono occupate, ma non tutte lo sono per forza. La maggior parte di esse, inoltre, si trasformano in cooperative dei lavoratori ma, anche qui, non stiamo parlando di una regola che non ammette eccezioni, dal momento che esistono Ert che non si sono costituite in cooperativa.

Come si è arrivati al movimento delle imprese recuperate dai lavoratori in Argentina e in che modo esso si è sviluppato a partire dai drammatici eventi che il paese ha vissuto alla fine del 2001?

In realtà, in Argentina esistevano delle imprese recuperate dai lavoratori anche prima della crisi del dicembre 2001. Ce n’erano già alcune che si erano formate, in condizioni difficilissime, negli anni dell’egemonia assoluta del menemismo e del neoliberismo. La crisi del 2001 ha più che altro fatto da moltiplicatore di casi di questo tipo, oltre a dare il là a tutta una serie di manifestazioni di solidarietà attorno alle imprese recuperate che hanno cominciato a far parlare di “movimento” delle imprese recuperate stesse. La grande differenza fra l’Argentina e altri paesi, infatti, non consiste nella presenza o meno di imprese recuperate dai lavoratori ma nel fatto che in Argentina queste sono state all’origine di un vero e proprio movimento. Non saprei dire quanto esso sia stato forte ed efficace, ma di sicuro è stato molto visibile, molto capace di esercitare una pressione anche sul potere politico soprattutto nei primi anni, e cioè nel 2002, 2003 e 2004. Quando poi la situazione economica del paese si è stabilizzata, nel movimento sono comparse delle divisioni, delle fratture, per cui oggi non c’è un solo movimento ma varie organizzazioni che includono imprese recuperate. Di fatto si tratta per lo più di divisioni fra dirigenti politici, che coinvolgono meno la base dei lavoratori, eppure sono presenti. Va anche detto che, nonostante questa frammentazione, il movimento è cresciuto molto e ci sono oggi molte più imprese recuperate e gestite dai lavoratori di un tempo.

Che ruolo ha svolto nel movimento delle imprese recuperate argentine la solidarietà sociale che si è creata intorno ad esse? Mi riferisco soprattutto al rapporto con la comunità e con il quartiere circostanti, ma anche a quello con altri movimenti sociali e, perché no, con i consumatori, visto che un’impresa vive solo se c’è qualcuno che ne compra i prodotti…

Questo è un aspetto fondamentale, perché nessuna impresa è stata “recuperata” dai soli lavoratori. Un ruolo importantissimo ai fini del recupero e della messa in produzione è stato sempre svolto dalla solidarietà sociale e dalle mobilitazioni che si sono create attorno all’impresa stessa. Nel 2001 questo era molto evidente: ad interagire con le Ert c’erano le assemblee popolari di quartiere, il movimento dei piqueteros, il movimento studentesco eccetera. C’era un ampio movimento di solidarietà che ha avuto un ruolo imprescindibile nel far vivere alcune esperienze. I casi più famosi sono quelli della Zanon e della Chilavert ma lo stesso è successo in molte altre circostanze. Col passare del tempo, e col mutare della situazione del paese, tutto ciò è un po’ cambiato. Oggi c’è più solidarietà, ad esempio, tra imprese recuperate, e più solidarietà verso quest’ultime da parte di altri tipi di movimenti comunitari, in alcuni casi anche da parte del potere politico e da parte dei sindacati, che inizialmente non vedevano di buon occhio il fenomeno.

Tuttavia, questo è solo un lato della questione. L’altra faccia della medaglia è data da una situazione odierna nella quale i lavoratori di una fabbrica recuperata sono in grado spesso non solo di ricevere solidarietà ma anche di darla. Negli ultimi anni si sono andate formando delle attività di solidarietà che partono dalla fabbrica e che rappresentano in qualche modo un’evoluzione della solidarietà ricevuta precedentemente dalla comunità. È così che, nello spazio fisico dell’impresa, vengono create iniziative, ad esempio centri culturali, scuole popolari eccetera, che non rispondono a un logica di razionalità economica, che non servono cioè a creare reddito per i lavoratori dell’impresa, ma che vengono comunque considerate da quest’ultimi come una parte essenziale dell’impresa recuperata. Per quanto riguarda invece il ruolo dei consumatori, la questione è un po’ diversa perché, in generale, le imprese recuperate non producono per la vendita al dettaglio ma per il consumo intermedio, cioè per la distribuzione, anche se esistono esempi isolati in cui si fa vendita al dettaglio e anche in questo caso si è instaurato un rapporto di solidarietà con chi compra per far vivere l’impresa.

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Un altro aspetto importante è quello della forma che assume la proprietà dell’impresa gestita dai lavoratori. Storicamente si danno vari esempi: cooperative (la cui esistenza isolata nel mercato capitalistico pone com’è noto dei problemi), imprese che lottano per essere nazionalizzate mantenendo però il controllo operaio sulla produzione, semplici imprese “di Stato” eccetera…

In realtà il tema della proprietà non passa per la forma cooperativa. La cooperativa è una forma legale che viene adottata per consentire all’impresa di essere un soggetto che ha un suo status giuridico nei confronti dello Stato. Il problema della proprietà, invece, nasce dal fatto che la maggior parte delle imprese recuperate dai lavoratori erano anteriormente imprese in fallimento ma proprietà di alcuni capitalisti, per cui c’è un procedimento legale in corso per stabilire di chi sia la proprietà che, di fatto, è soggetta a disputa. La cooperativa dei lavoratori spesso non ha ancora ereditato la proprietà, perché in genere questa è oggetto di una battaglia legale e c’è in corso una mobilitazione per l’espropriazione, ovvero una campagna di pressione affinché il Congresso espropri l’impresa per ragioni di utilità pubblica e la dia ai lavoratori stessi. Ma si tratta di un processo che, nella maggior parte dei casi, è lungo ed è tuttora in corso, per cui la proprietà delle imprese recuperate è spesso in una situazione di ambiguità giuridica: i lavoratori spesso hanno il controllo dell’azienda, la usano, ma non ne sono ufficialmente proprietari.

Il tema della proprietà è separato da quello del rapporto fra cooperativa e mercato. È vero che se la cooperativa detiene la proprietà ha anche accesso a linee di credito che altrimenti non ha; d’altro lato, se la cooperativa non detiene la proprietà, è in uno stato di precarietà giuridica permanente. Ma il problema del rapporto fra cooperativa e mercato è un altro problema.

Qual è il senso dello slogan “occupare, resistere, produrre”?

Si tratta di uno slogan che in realtà il movimento delle imprese recuperate ha ripreso dal movimento dei sem terra brasiliani. La sua virtù sta nel fatto che riesce a sintetizzare il momento iniziale del processo di recupero: prima l’occupazione, per evitare che vengano portate via le macchine, per evitare che il luogo di lavoro cessi di fatto di esistere; poi la fase di resistenza, perché molto probabilmente dopo l’occupazione ci sarà un tentativo di sgombero, un tentativo repressivo da parte della polizia; e poi infine, per far vincere veramente la resistenza, si tratta di far funzionare l’impresa, di produrre e di dimostrare che produrre si può anche senza il padrone. Si tratta di tre momenti successivi, che tuttavia si possono dare anche simultaneamente: ci sono diverse imprese recuperate in cui si è occupato lo stabilimento cominciando subito a produrre e allo stesso tempo tentando di resistere. Nella realtà, quindi, i tre momenti possono essere separati o congiunti, dipende dalle circostanze.

Che rapporto intrattiene il movimento delle imprese recuperate dai lavoratori con il sindacato?

Il problema del sindacato rispetto al movimento delle Ert consiste nel suo percepirsi tradizionalmente come l’organizzazione che rappresenta i lavoratori contro i padroni, o comunque come un’istituzione che svolge un ruolo di intermediazione. Tuttavia, qui il padrone non c’è… Senza il padrone, il sindacato tradizionale perde interesse a una situazione in cui sembra superfluo. Anche per questo alcuni sindacati, inizialmente, si sono opposti alle imprese recuperate. Ce ne sono poi stati anche altri che hanno invece capito meglio la situazione e hanno cercato di integrare – e allo stesso tempo di contenere – i lavoratori all’interno delle rispettive organizzazioni, riconoscendo contemporaneamente di aver a che fare con cooperative senza padrone. Ad ogni modo, si tratta di una relazione conflittuale, perché le imprese recuperate mettono in discussione molte cose, e una di queste è proprio il sindacato.

(30 settembre 2014)

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