«Una trincea comune contro la crisi capitalista»
Da “il manifesto” del 2 novembre 2014 — Geraldina Colotti
Ri-Maflow. Parla Joao Stedile, dei Sem Terra
Sono trascorsi quasi due anni da quando un imprenditore polacco ha rilevato il marchio della Maflow. La fabbrica del settore automotive di Trezzano sul Naviglio (un comune a sud-ovest di Milano) era allora in amministrazione straordinaria. All’acquirente interessava il marchio e le commesse della Bmw. Una volta ottenuto lo scopo, ha perciò chiuso i cancelli e ha lasciato senza lavoro 330 persone. Gli operai, però, si sono organizzati adottando il motto delle fabbriche recuperate in Argentina, mutuato dal Movimento Sem Terra brasiliano: «Occupare, resistere, produrre». Oggi vogliono passare alla produzione industriale nel campo del riuso e del riciclo e per questo hanno lanciato un appello internazionale per raccogliere fondi, firmato da Evo Morales, Ken Loach, Erri de Luca… Ieri, hanno invitato alla loro giornata di lotta e di festa lo storico leader dei Sem Terra brasiliani, Joao Stedile, primo firmatario dell’appello, che ha risposto alle domande del manifesto.
Com’è nata questa alleanza tra i Sem terra e la Ri-Maflow?
Da anni seguiamo con attenzione questo tipo di esperienze, in Italia e in altri paesi in cui, per via della crisi, le fabbriche falliscono e gli operai ne prendono il controllo. Un segnale di come si possa reagire e vincere, organizzandosi e prendendo nelle proprie mani i mezzi di produzione. Abbiamo conosciuto Gigi Malabarba e l’esperienza della Ri-Maflow a Trento, a un incontro dell’Altraeconomia e abbiamo preso contatto, sia con loro che con esperienze come quella di Genuino clandestino, una fattoria recuperata dai lavoratori. Ci sentiamo fratelli con loro e con i centri sociali occupati che fanno un lavoro nei quartieri popolari con i migranti e trasformano quei luoghi in vere trincee dell’alternativa economica e culturale. Ognuno ha una sua trincea di resistenza di proposta e ci sentiamo fratelli.
Qual è il bilancio di trent’anni di lotta in Brasile e in che modo può essere utile in condizioni come quelle italiane?
Fin dall’inizio abbiamo cercato di imparare dall’esperienza della classe operaia e contadina, sia di altri paesi che del Brasile. Non abbiamo inventato niente, cerchiamo però di far fruttare l’esperienza storica della lotta di classe applicando alcuni principi organizzativi: intanto il movimento dev’essere autonomo dai partiti, dalla chiesta, dallo stato, anche dai governi amici. E non per essere contro la politica, ma perché la natura del movimento popolare è diversa da quella del partito e per evitare che i problemi dell’uno influenzino quelli dell’altro, è meglio non mischiare le cose. Inoltre occorre una direzione collettiva e una rotazione delle cariche, e una costante attenzione allo studio perché la conoscenza è un’arma formidabile per la coscienza della classe lavoratrice e per tutti i movimenti. E poi è importante che, nel proprio quotidiano, ognuno interpreti la propria militanza con spirito di sacrificio, per garantire il beneficio di tutti e non il proprio personale. Altrimenti si creano brecce in cui la borghesia si incunea per cooptarti, deviare il movimento e impedire il vero progetto di liberazione.
All’Incontro mondiale dei movimenti popolari, a cui i Sem Terra hanno fortemente contribuito, è stata fissata un’agenda comune. In che modo partecipano le fabbriche recuperate italiane?
Abbiamo la consapevolezza di un nemico comune: il capitalismo oggi è globalizzato, contro di noi ci sono le stesse banche, l’imperialismo Usa che ci impone il controllo del dollaro, l’informazione a senso unico e il controllo delle nuove tecnologie. Di fronte a questa nuova situazione, i problemi di terra casa lavoro e diritti connessi sono i medesimi. Dobbiamo allargare la lotta di massa su obiettivi comuni e aumentare nei movimenti la coscienza del conflitto e la loro organizzazione. In America latina ci sono esperienze molto avanzate: dall’Argentina, al Venezuela, al Brasile, all’Uruguay, dove esiste un movimento di costruzione di case a livello cooperativistico. E per questo stiamo pensando di organizzare un prossimo incontro a livello continentale. Quello dell’autogestione è un processo lungo, ma è la vera alternativa